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Parla Bitani, scrittore afghano: “La democrazia non funziona nel mio Paese”

Parla Bitani, scrittore afghano: “La democrazia non funziona nel mio Paese”

19 Agosto 2021- L'Intervista di Alessandro Banfi a Farhad Bitani

Com’è possibile che dopo vent’anni i talebani siano tornati al potere in Afghanistan? 10alle5 Quotidiana ne ha parlato con un giovane scrittore afghano, che ha avuto un’esperienza di vita notevole. Si chiama  Farhad Bitani, è nato a Kabul 35 anni fa. E’ un ex-capitano dell’esercito afghano, oggi fondatore di GAF Global Afghan Forum, una rete internazionale no profit che offre un aiuto ai giovani afghani in tutto il mondo. Figlio di un generale dell’esercito afghano, ha vissuto la guerra prima sotto il regime dei mujaheddin e poi dei talebani. Ha compiuto i suoi studi in Italia, prima all’Accademia Militare di Modena e successivamente alla Scuola di Applicazione di Torino. Dopo essersi definitivamente trasferito in Italia come rifugiato politico, ha deciso di dedicare la sua vita al dialogo interculturale e alla pace. Ha scritto “L’ultimo lenzuolo bianco”, edizione Guaraldi, con la prefazione di Domenico Quirico, in cui racconta la sua vicenda. I talebani hanno cercato di ucciderlo in un attentato. “Il ritorno al potere dei talebani”, dice ora “rappresenta un grande fallimento della democrazia occidentale. In molti Paesi d’ora in poi, e non solo nel Medio Oriente, più nessuno crederà nella democrazia e soprattutto negli Usa”.

 

Qual è stata la tua prima reazione?

Farhad Bitani: Quando ho visto le immagini dei talebani tre giorni fa mi sono sembrate le stesse di quando avevo 12 anni. Lo stesso film, lo stesso incubo. E anche la stessa strategia, anche se vent’anni dopo. Hanno molte più armi purtroppo e sono più forti militarmente, e questo è il retaggio della guerra. Ma la propaganda, falsa aggiungo io, è la stessa: promettono che le donne saranno come gli uomini, che non ci saranno vendette, eccetera. Allora andarono avanti per tre mesi. Non so valutare questa volta, temo che si andrà anche più in fretta. Come stanno dimostrando queste ultime ore.

 

Qual è la lezione da trarre?

Bitani: Questi anni sono stati inutili. La democrazia non funziona in tanti Paesi, nonostante la pretesa dell’Occidente di esportarla. E ora ci troviamo di fronte a questo dato di fatto.

 

Ma questo significa che il popolo afghano è favorevole al regime talebano?

Bitani: Il popolo afghano negli anni dell’azione militare internazionale si è sentito sempre più abbandonato. All’inizio il consenso verso la svolta democratica era altissimo in tutto il Paese e anche verso gli occidentali, ma poi la protesta si è inserita nello spazio vuoto lasciato dalla missione. E questo spazio vuoto era proprio la mancanza dell’interesse generale. Lentamente la democrazia è apparsa come un sistema che favoriva solo pochisimi privilegiati e lasciava intatti i problemi della grande massa delle persone. Non solo a Kabul, ma in tutto il Paese. Durante questi anni sono arrivati miliardi di dollari di aiuti internazionali e sono finiti nelle tasche di pochissime persone. Ecco perché, alla fine, il consenso popolare ha giocato a favore dei talebani.

 

La strada della guerra non ha pagato. Tu stesso personalmente hai rifiutato la soluzione militare dei problemi…

Bitani: Certamente. Questo è quello che non ha funzionato. La democrazia non si può esportare con le armi, imporre con la forza militare. È un itinerario, un processo che si basa sul dialogo. Ma è anche, e soprattutto in Paesi come il mio, un processo educativo. L’esercito della coalizione internazionale distribuiva risorse ingenti in armi ed equipaggiamento militare, ma destinava solo il 5 per cento alle scuole e ai programmi educativi. Per i giovani e per le donne la necessità era quella di comprendere una cultura di libertà. La libertà delle donne non è solo togliere o mettere il burqa. L’Afghanistan democratico avrebbe dovuto selezionare e promuovere i giovani per merito. L’impressione invece era che pochi corrotti piazzassero nei luoghi di responsabilità i soliti raccomandati. Il figlio di questo deve diventare il capo e così via. Anche nell’imprevedibile e repentino cedimento dell’esercito regolare, ha pesato molto che i colonnelli e i generali non fossero stati scelti, a suo tempo, sulla base delle loro qualità professionali.

 

Secondo te non si è provato neanche a portare la vera democrazia in Afghanistan…

Bitani: Esatto. Le parole del presidente Usa Biden sono state chiare: l’interesse che il nostro Paese diventi democratico non è più una priorità, oggi.

 

Come afghano che vive in Italia, ti chiedo un parere su che cosa dovrebbe fare oggi l’Occidente, dopo questo clamoroso fallimento…       

Bitani: Adesso è diventato molto difficile pensare ad altre soluzioni militari. I talebani sono diventati più forti e si sentono i vincitori alla fine di una lunga guerra di resistenza. Diplomaticamente l’Europa deve puntare ad avere un rapporto stretto col Pakistan. E spingere il Pakistan ad intervenire sulle gestione dei diritti umani da parte dei talebani. Per fare questo, bisogna vigilare con costanza su quello che poi accade davvero.

 

Il Pakistan può influenzare il regime talebano?

Bitani: Secondo me, e non solo secondo me, i talebani sono un’invenzione dei servizi segreti pachistani.

 

Che cosa accadrà al popolo afghano?

Bitani: Il novanta per cento del mio popolo è analfabeta. È importante che ci rendiamo conto di questo. Noi giovani afghani, che abbiamo visto il mondo, dobbiamo lavorare per creare una prospettiva diversa per i nostri connazionali. Conoscere vuol dire avere la possibilità di capire e di scegliere.

 

L’Europa adesso dovrà fronteggiare la crisi umanitaria conseguenza di quello che è avvenuto. Che impressione ti fanno i volontari delle varie Ong rimasti in Afghanistan?

Bitani: Come ho scritto nei miei libri, anche in questo campo c’è stata molta corruzione. Molti soldi degli aiuti umanitari hanno arricchito singole persone invece che aiutarne molte. Ci sono ville nelle capitali europee, compresa Roma, comprate con i fondi degli aiuti umanitari. Poi ci sono esempi molto positivi ed encomiabili, come è stato Gino Strada, o come oggi Alberto Cairo. Per loro, per chi veramente è sul territorio, sarà molto difficile avere un dialogo col regime ed un minimo di agibilità per la loro azione. E da un certo punto di vista loro sono più preziosi adesso. Non solo lì. Ma per il mondo. Perché se i talebani oseranno intralciare l’opera di Emercency o della Caritas internazionale o della Croce Rossa, l’opinione pubblica internazionale potrà insorgere e denunciare il loro comportamento.

A cura di Alessandro Banfi

*La lettura del giorno. Per approfondire l'argomento 10alle5 Quotidiano consiglia "Libro Verde" di Mu'ammar Gheddafi, 1975.