Parla Manconi: “Con Draghi e Cartabia garantismo al Governo”

Parla Manconi: “Con Draghi e Cartabia garantismo al Governo”

15 Luglio 2021- L'Intervista di Alessandro Banfi a Luigi Manconi

Luigi Manconi, senatore e sociologo, si occupa delle carceri italiane e dei diritti dei detenuti da molti anni. Per lui la visita di ieri al carcere di Santa Maria Capua Vetere del Presidente del Consiglio Mario Draghi e della ministra di Grazia e Giustizia Marta Cartabia “è un fatto storico” nella storia repubblicana. “Gesto simbolico”, dice Manconi, “che definirei come un atto di garantismo di governo”. Draghi e Cartabia sono stati ieri nel carcere teatro delle efferate violenze ai detenuti che sono adesso al centro di un’inchiesta penale e che sono documentate nei numerosi video pubblicati in rete. Con Manconi 10alle5 Quotidiana cerca di capire le ragioni di quello che è successo. E anche i motivi di speranza, un “nuovo inizio” lo ha chiamato questa mattina Avvenire, che scaturiscono da questa visita: a cominciare dalla concezione della detenzione e della pena. Voltaire, poi ripreso anche da Dostoievskij, era solito ricordare che un Paese si giudica dalle sue prigioni.

Manconi, qual è il significato della visita di Draghi e Cartabia?

Luigi Manconi: Credo nel valore dei gesti simbolici. Possono essere potenti e avere conseguenze anche molto pratiche. La visita di Draghi e Cartabia, asciutta nei toni e nelle parole, com’è nella natura dei due protagonisti, spero abbia innanzitutto questo senso. Andando indietro nella memoria non ricordo nulla di simile. Se non una visita di Oscar Luigi Scalfaro nel 1985, allora Ministro degli Interni, in difesa di un mafioso di quarta fila che era “entrato vivo in una stanza di polizia” e ne era uscito senza vita. Quando lo Stato ha la forza di ammettere la colpa e di metterci la faccia acquista credibilità.  Direi che la visita di ieri è una novità assoluta nella storia repubbicana, soprattutto per un Presidente del Consiglio. Sì, ci sono spesso visite nei penitenziari di Ministri o esponenti del Governo ma di solito hanno un carattere vagamente celebratorio. Qui invece c’è un’inchiesta penale in corso, non è il momento dei tappeti rossi.

Nelle poche parole dette è riecheggiato il richiamo alla Costituzione, in particolare a quell’articolo 27 che è uno dei meno attuati della vita repubblicana.

Manconi: È l’articolo che prevede la “rieducazione del condannato”, un termine che oggi è desueto e magari anche poco compreso. Ma significa riabilitazione, resinserimento sociale, possibilità di redimersi dalla colpa commessa e di rientrare a pieno titolo nella società civile. La pena deve avere questo orizzonte. Questo articolo è molto pertinente anche per gli esponenti della politiza penitenziaria, che rifiutano l’idea di essere “secondini” o anche “agenti di custodia”. Di fatto, quando anche loro sono totalmente concentrati sulla custodia dei detenuti, l’uso e l’abuso della punizione diventa una costante. Insieme ad altri fattori, come i carichi di lavoro, gli stipendi bassi e il sovraffollamento. Così si spiega come sia potuta accadere la mattanza di Santa Maria Capua Vetere.

Nelle intercettazioni fra agenti di polizia penitenziaria si fa riferimento al “metodo Poggioreale”, il sospetto è che quella mattanza non sia affatto un caso isolato.

Manconi: Non è per niente un caso isolato. Mi risulta che ci siano altre 15-16 carceri in cui sono state denunciate cose simili. E d’altra parte l’esistenza delle famigerate “squadrette” formate a volte anche da agenti col volto scoperto o provenienti da altri istituti è accertata.

Il nostro diritto ha una concezione garantista della pena, ma poi si respira sempre un’aria di vendetta…

Manconi: In tanti anni che mi occupo di carcere sono diventato pessimista perché vedo che le pulsioni emotive prevalgono sempre sulla razionalità. E una pulsione prevalente è quella del “buttare la chiave”. Si basa su un’idea di insicurezza e di paura, molto sbagliata perché la percezione non è fondata su fatti veri. Ecco i numeri: 30 anni fa c’erano 1800 omicidi all’anno, l’anno scorso siamo arrivati a 300. Meno di un quinto. E anche i reati, cosiddetti di strada, scippi, furti, rapine sono calati drasticamente. E tuttavia è difficile contrastare questi sentimenti.

La pena viene confusa con una domanda di retribuzione sociale…

Manconi: Esattamente.  È diffusa una voglia di vendetta cupa e che chiede non giustizia ma soddisfazione. Emotivamente si giustica anche un aspetto afflittivo della pensa che invece non è giustificabile. In uno Stato di diritto, il detenuto è condannato ad essere privato della sua libertà. Non della sua dignità o della possibilità di riscatto e cambiamento.

Eppure ci sono esempi come il carcere di Bollate, dove è evidente che l’alternativa alla chiusura in cella fa il bene anche della società. Le statistiche sulla recidiva lo dimostrano. Chi va al lavoro esterno, chi si rifà una vita non torna più a delinquere…

Manconi: Ho provato negli anni a spiegare che non c’è intento solo umanitario nel realizzare la detenzione come sarebbe prevista dalla nostra Costituzione. È un fatto utilitaristico, con dei vantaggi direi quasi economici. Vantaggi evidenti per il bene comune, come dimostrano le tante esperienze di misure alternative in giro per l’Italia.

La  ministra Cartabia punta ad introdurre forme di giustizia riparativa…

Manconi: Dicevo prima che per esperienza sono diventato pessimista su questi temi ma sicuramente la sua è una prospettiva nuova che desta molte speranze.

A cura di Alessandro Banfi