Le periferie, soggetti perfetti da fotografare – Intervista a Lucia Laura Esposto

Le periferie, soggetti perfetti da fotografare – Intervista a Lucia Laura Esposto

Continua il ciclo di interviste di 10alle5 Quotidiano alle grandi firme della cultura. Questo mese abbiamo intervistato Lucia Laura Esposto, fotografa e presidente del Circolo Fotografico Milanese.

Cosa fa di Milano una città aperta all’arte?

Milano negli ultimi anni sta vivendo un grande “risveglio culturale”, soprattutto dopo l’avvento di Expo la città è diventata un luogo ricco di eventi e mostre d’arte declinati sotto tutti gli aspetti. Anche i turisti che visitano la città sono in continuo aumento: me ne accorgo dalla folla che, in ogni stagione, popola le vie del centro. Quella che, nello stereotipo più diffuso, è considerata una città grigia dove si pensa solo al lavoro, grazie alla lungimiranza dell’Amministrazione Comunale è diventata una città dove, se vuoi visitare un percorso fotografico o partecipare a un evento culturale, hai solo l’imbarazzo della scelta. Per quanto riguarda la fotografia, in ogni periodo dell’anno ci sono mostre fotografiche sia di grandi Maestri, sia di giovani emergenti inoltre, da due anni, il Comune di Milano organizza la “Milano Photo Week”, una settimana di mostre, incontri, laboratori, progetti editoriali, proiezioni urbane dedicate alla fotografia.  

Come racconta l’esperienza del percorso fotografico “Tutta mia la città”?

Milano, nel corso degli anni, ha cambiato e continua a cambiare carattere, sia nel paesaggio urbano, sia nella gente e nella quotidianità: organizzare un percorso fotografico che mette a confronto passato e presente rende visibili questi cambiamenti e dà risalto all’importanza della fotografia, alla capacità che ha di fermare un attimo del tempo in un’immagine, che poi diventerà ricordo o testimonianza per i posteri. Il percorso fotografico è allestita in uno dei luoghi più suggestivi della città: l’highline della Galleria Vittorio Emanuele. I visitatori seguono un percorso dove non mancano le emozioni: le immagini del passato creano ricordi e suggestioni e quelle del presente mostrano in modo inequivocabile come Milano sia una città in continua trasformazione. Inoltre, riuscire nel contempo quasi a toccare con mano la cupola della Galleria, vedere le guglie del Duomo e la Madonnina così vicine, e ammirare il panorama della città, rendono questa esperienza indimenticabile.

Come si è avvicinata al mondo della fotografia e cosa consiglierebbe a un giovane che vuole seguire le sue orme?

Ho iniziato ad appassionarmi alla fotografia da ragazzina, dopo avere visto delle immagini di Gianni Berengo Gardin: rimasi affascinata da quelle fotografie, dalla loro forza espressiva, dalla capacità di raccontare una storia senza usare parole. 

Io appartengo alla categoria dei fotoamatori, fotografo per passione, e il mio genere preferito è il reportage sociale, la quotidianità delle persone.  Per un giovane che volesse invece intraprendere la professione di fotografo, consiglio di studiare i grandi maestri della fotografia ma non solo, è importante crearsi un buon bagaglio culturale, conoscere la storia, le tecniche di comunicazione e almeno una lingua straniera. Di sicuro al giorno d’oggi per i giovani non è facile riuscire a vivere di fotografia, avere una solida preparazione è un vantaggio che, in un settore altamente competitivo, può fare la differenza e portare al successo.

Ci vuole spiegare il lavoro del Circolo Fotografico Milanese?

Il Circolo Fotografico Milanese - CFM - è attivo ininterrottamente in città dal 1930, ha una prestigiosa fama negli ambienti fotografici sia professionali che amatoriali ed è iscritto all’Anagrafe delle Associazioni del Comune di Milano.

>Il nostro lavoro (ma è più una “missione”) è diffondere la cultura fotografica attraverso incontri, mostre e dibattiti, ma anche continuare nell’opera di documentazione della nostra città.  

I soci si riuniscono ogni lunedì e i programmi delle nostre serate comprendono confronti, letture portfolio fotografici, ospiti autorevoli del mondo fotografico, corsi di fotografia che partono dalle basi all'ideazione e realizzazione di un progetto fotografico. Di sicuro potremmo fare molto di più, ma purtroppo soffriamo della mancanza di una nostra sede (dagli enti cittadini non siamo riusciti a ottenere nulla). Oggi siamo ospiti - paganti - di un Ente cittadino per poche ore alla settimana. Ciò impedisce un regolare svolgimento delle nostre attività, per esempio: avere una biblioteca (abbiamo acquistato e acquistiamo dei libri, ma per mancanza di spazio molti volumi sono presso le case di soci volonterosi), organizzare workshop, rendere disponibile l'archivio delle immagini (abbiamo fotografie storiche, di grande valore documentaristico, che sono ospitate a casa di alcuni soci fidati), usare attrezzature fotografiche (abbiamo acquistato una stampante fotografica, ma non possiamo metterla a disposizione dei soci), esporre fotografie dei soci e dei fotografi ospiti delle nostre serate per un tempo adeguato che non siano le due ore del lunedì sera.

Siamo fermamente convinti della funzione culturale della fotografia, avvalorata dal fatto che nell'aprile 2017 l'allora Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, ha costituito gli “Stati Generali della Fotografia" per tutelare, valorizzare e diffondere la fotografia in Italia come patrimonio storico e linguaggio contemporaneo. Un solo esempio: una consapevole lettura delle immagini che quotidianamente ci soverchiano costituisce certamente un utile strumento di crescita culturale per tutto il mondo dei giovani.

Se dovesse fotografare un solo luogo di Milano quale sceglierebbe?

Non ho un solo luogo di Milano che sceglierei, ultimamente però sto concentrando la mia attenzione sulle periferie, diventate un argomento cruciale per la vita sociale della città. Queste zone di confine sono oggetto di grandi cambiamenti e trasformazioni, credo che sia importante documentarle fotograficamente.

Come è cambiata la fotografia nell’epoca dei social?

Negli ultimi dieci anni, con la diffusione massiccia di internet e degli strumenti digitali, i costumi e le abitudini si sono profondamente modificati. La fotografia è stata una delle espressioni culturali che ha influito e, contemporaneamente, ha subìto tali cambiamenti.

È cambiato il modo di fotografare. Pochissimi fotografi usano ancora macchine analogiche. La maggior parte scatta fotografie con macchine digitali di svariati tipi e modelli (dalle reflex professionali alle compatte tascabili). Ma anche in questo contesto si assiste a una vera e propria rivoluzione: lo smartphone è diventato lo strumento con il quale si scattano più fotografie (880 miliardi nel 2014 - ogni due minuti vengono scattate più foto di quante l'umanità ne abbia prodotte in tutto il 1800).

Nell’epoca dei social tutti possono scattare fotografie, tutti si possono dichiarare fotografi. Stiamo assistendo a un fenomeno nuovo e dilagante, le immagini stanno sostituendo le parole (e questo anche nei messaggi in cui si usano le cosiddette “emoticon” per esprimere degli stati d’animo), ora non scrivo “sono al mare e sto prendendo un aperitivo”, ma pubblico un selfie su Facebook e tutti sapranno, in tempo reale, cosa sto facendo in quel determinato momento.

È cambiato anche il modo di fruizione delle fotografie. Oggi si scattano miliardi di foto al giorno ma solo poche migliaia vengono stampate. La foto è nata per essere stampata. Adesso la maggior parte si vede sul monitor del computer o sullo schermo del telefonino o del tablet. L’avvento dei social ha reso la fotografia più “democratica”, ma nello stesso tempo ha fatto sì che ora ci ritroviamo con miliardi di immagini stipate nei nostri computer, o che viaggiano nelle “autostrade elettroniche” della rete, delle quali non siamo in grado di conoscere il destino.

La grande diffusione della fotografia sui social ha di sicuro degli aspetti positivi (immediatezza di informazione) però sono convinta che le troppe immagini che ogni giorno ci scorrono davanti agli occhi, ci portino a essere superficiali, a non avere il tempo di approfondire quello che c’è oltre l’immagine, a esprimere opinioni e giudizi basati sull’apparenza che, come recita il proverbio, inganna.