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CODIV COME LEZIONE DI RESPONSABILITA’ – Facciamo tesoro di quello che ci sta accadendo per uscirne migliori. L’intervista al sociologo Nuvolati.

In un periodo in cui siamo sommersi da notizie riguardo l’oggi, ci interessa aprire una finestra sul domani. Come saranno gli italiani del dopo Covid-19 e quindi, come sarà l’Italia? Abbiamo chiesto un’opinione al professor Giampaolo Nuvolati, sociologo dell’Università Bicocca di Milano e prorettore, presso l’ateneo, per i rapporti con il territorio, che in questi giorni sta “elaborando una propria visione” riguardo questa tematica e che sottopone alla nostra attenzione un paragone interessante.

 “Siamo nel pieno di questa situazione drammatica e qualsiasi previsione è particolarmente difficile. Così come è molto complicato trovare appropriate situazioni di confronto nella storia del nostro Paese per farci una idea dei tempi di reazione possibili. In questi giorni, abbiamo sentito spesso paragonare l’attuale stato emergenziale ad una guerra, ma penso che il raffronto sia scorretto. Primo per il numero delle vittime e poi perché l’impatto è incommensurabilmente più devastante nel caso di una guerra. Semmai, pur con tutte le cautele del caso, ci può essere qualche punto in comune con un’altra pandemia che il mondo ha attraversato quattro decenni fa: la diffusione dell’Aids. Questo ha intaccato le nostre abitudini, i nostri modi di relazionarci con il prossimo. Venivamo da anni di grande libertà, anche sessuale, e ci siamo trovati tutto ad un tratto a diffidare dell’altro e a non sapere come relazionarci, ad avere paura. Poi l’Aids è passata in secondo piano, pur non essendo ad oggi problema scongiurato, questo occorre sempre ricordarlo. Ma nel frattempo la consapevolezza che abbiamo maturato ci ha probabilmente permesso di mettere in atto comportamenti più responsabili”.

 

Bisognerà poi capire in quanto tempo riusciremo a riprenderci e tornare ad una normalità o, addirittura come si dice, ad una fase di ricostruzione. 

“Viviamo in uno dei paesi più avanzati al mondo, veniamo da un lunghissimo periodo di benessere che ha preso l’avvio 70 anni fa, dunque non ci ritroviamo a ricostruire da capo un Paese distrutto, ma comunque è impensabile che tutto riparta immediatamente come prima, senza che sia successo nulla. Ci sarà sicuramente un periodo di assestamento. L’importante però sarà la consapevolezza che potremo trarne”.

 

Professore, volendo comunque trovare confronti con i periodi di guerra, ci chiediamo se questa emergenza possa generare nella società un modello più simile al primo o al secondo dopo-guerra, ovvero se andremo verso anni di rabbia e isolamento oppure di apertura e comunanza.

“Sono personalmente portato a pensare che sia quantomeno necessario andare verso il secondo modello e non certamente verso il primo. Penso che, soprattutto per le generazioni oggi al comando, questa emergenza sia stata davvero una lezione di vita e ci sarà quindi certamente una maggiore consapevolezza rispetto alla necessità di stare uniti, di avere fiducia nelle Istituzioni. Lo stile individualistico-familistico che spesso utilizziamo per risolvere i problemi della nostra vita è insufficiente. Insomma non ce la facciamo da soli ne contando su familiari e amici. Queste situazioni si possono affrontare solo a livello di comunità e in grande chiave solidaristica anche tra Paesi. L’Italia in questi giorni sta dando una grande prova in tal senso”.

 

C’é però l’incognita della situazione economica, tendenzialmente una crisi economica dura, come quella che ci si prospetta, porta a divisioni più che unioni, soprattutto in una popolazione abituata all’agio.

“Certamente, per il momento va considerato che siamo in lockdown da due settimane. Tutto dipenderà dalla durata complessiva del fenomeno non solo in Italia ma ovviamente anche nel mondo visto che la nostra è una economia globale. Ma personalmente sono ancora fiducioso nel fatto che l’impatto economico possa essere pesante ma ancora contenibile”.

 

Probabilmente è possibile che molti non attendano altro che uscire da questa situazione di estrema riduzione della libertà e che quindi si possano verificare alcuni eccessi

“Certamente c’è il rischio che una frangia possa lanciarsi in una sorta di bulimia di vita sociale appena si inizierà a tornare alla normalità, bisognerà fare molta attenzione ed educare la popolazione in tutti i modi. Tuttavia, spero sarà maggiore il senso di responsabilità, il quale, unito al sano timore, porterà la stragrande maggioranza delle persone a ripartire lentamente”. 

 

Ne deduciamo che ritenga possibile un ritorno ad una socialità a cui eravamo abituati fino a poche settimane fa.

“Sì, ritengo impensabile che la gente, soprattutto gli italiani, non tornino ad abbracciarsi o a stringersi la mano; inoltre va tenuto conto che ci pare di essere in questa situazione da anni ma alla fine non è nemmeno un mese. Certo mi auguro che si possano però attuare comportamenti consapevoli, di attenzione e responsabilità. Questo è forse davvero ciò che dobbiamo imparare a trarre da questo accadimento: l’amore ma anche il rispetto nei confronti di noi stessi e dell’altro”.